Cram down fiscale e “procedure” concorsuali: una breve riflessione

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Non è un mistero che in numerose occasioni l’accesso alle procedure di risoluzione della crisi alternative al fallimento si è scontrata con la resistenza, non sempre giustificata, dell’amministrazione finanziaria. Ciò ha portato, nel tempo, al mancato successo di ipotesi di ristrutturazione debitoria in grado di superare quello che, a parere di chi scrive, dev’essere ritenuto l’unico vero termine di confronto in ambito concorsuale, ossia l’interesse del ceto creditorio.

Sotto questo profilo non è passato inosservato il manifesto incentivo alla transazione fiscale e contributiva previsto dal Codice della Crisi di Impresa e dell’Insolvenza, la cui entrata in vigore, seguendo uno schema divenuto ormai frequente, viene oggi anticipata.

La L. 27.11.2020 n. 159, che ha convertito il D.L. 07.10.2020 n. 125, ha infatti modificato i vigenti articoli 180, 182 bis e 182 ter L.F. attribuendo al Tribunale il potere di omologare il concordato preventivo anche in “mancanza di voto” da parte dell’amministrazione finanziaria o degli enti previdenziali e assistenziali quando l’adesione da parte dei predetti enti è determinante ai fini del raggiungimento delle maggioranze di cui all’art. 177 L.F. e quando, anche sulla base delle risultanze della relazione dell’attestatore, la proposta di soddisfacimento del fisco e/o degli enti previdenziali si dimostra conveniente rispetto all’alternativa liquidatoria.

Previsione analoga è stata introdotta per gli Accordi di Ristrutturazione dei Debiti. Come detto, al comma 4 dell’art. 182 bis L.F., infatti, è stata introdotta la possibilità per il Tribunale di omologare l’ADR nel caso di “mancanza di adesione” decisiva ai fini del raggiungimento delle maggioranze di legge.

Le norme da ultimo introdotte debbono ritenersi applicabili, per opinione pacifica, alle procedure non omologate alla data della loro entrata in vigore [1].

Un percorso analogo è stato scelto dal legislatore in materia di sovraindebitamento. L’art. 4 ter L. 18.12.2020, che ha convertito il D.L. 28.10.2020 n. 137, ha infatti introdotto, a far data dal 25.12.2020, il nuovo art. 12 comma 3 quater L. 3/2012, ai sensi del quale “il tribunale omologa l’accordo di composizione
della crisi anche in mancanza di adesione da parte dell’amministrazione finanziaria
quando l’adesione è decisiva ai fini del raggiungimento delle percentuali di cui all’articolo 11, comma 2, e
quando, anche sulla base delle risultanze della relazione
dell’organismo di composizione della crisi, la proposta di
soddisfacimento della predetta amministrazione è conveniente rispetto all’alternativa liquidatoria
”.

Come spesso accade, però, all’intento sicuramente condivisibile del legislatore non si accompagna una formulazione chiara del testo normativo, circostanza che ha innescato la discussione sulla reale portata dei termini “mancanza di voto” e “mancanza di adesione[2].

In altre parole, occorre stabilire se il cram down possa essere invocato solo nell’ipotesi in cui fisco o enti previdenziali non si pronuncino sulla proposta formulata dal debitore oppure anche quando si esprimano attraverso un formale diniego alla proposta medesima, naturalmente ove sia accertata la maggiore convenienza della proposta rispetto all’alternativa liquidatoria.

Come correttamente osservato [3], sono possibili nel caso due opzioni interpretative [4].

Secondo una prima tesi, c.d. “restrittiva”, il potere del Tribunale sarebbe circoscritto ai soli casi in cui manchi del tutto l’espressione di voto o l’adesione. Si tratta di un’opinione che ha trovato riscontro nella pronuncia del Tribunale di Bari del 18 gennaio 2021 [5] e si fonda sul principio in claris non fit interpretatio e sulla possibile disparità di trattamento del creditore erariale e previdenziale rispetto agli altri creditori ammessi al voto, la cui espressione contraria non sarebbe in alcun modo superabile.

A detta tesi si contrappone un’altra opinione, che a parere di chi scrive si lascia grandemente preferire, secondo la quale anche il voto negativo deve ritenersi ricompreso nell’operatività della disciplina novellata. Militano a favore di questa tesi indiscutibili ragioni di carattere operativo e sistematico.

Sotto il primo profilo, è evidente che se la finalità della novella è quella di superare ingiustificate resistenze alle soluzioni concordate della crisi, non appare rilevante la distinzione tra il voto mancante e quello contrario.

Dal secondo punto di vista, inoltre, è evidente che non sarebbe giustificabile un trattamento diverso nell’ipotesi del concordato preventivo (laddove l’astensione equivale a dissenso) rispetto a quella della disciplina del sovraindebitamento, nell’ambito della quale, come è noto, vige il principio del silenzio assenso.

Si sono pronunciate in questo senso Trib. La Spezia 14 gennaio 2021 e Trib. Forlì 15 marzo 2021. Si tratta di due provvedimenti resi nell’ambito della procedura di sovraindebitamento ma esprimono principi indubbiamente applicabili anche nelle procedure concorsuali “maggiori”.

Ciò vale soprattutto se si pensa che, nella disciplina introdotta dalla novella, non vi è alcuno spazio per l’arbitrio del creditore ma è rimessa all’autorità giudiziaria ogni valutazione sulla convenienza della proposta rispetto all’alternativa liquidatoria. Pare superfluo ricordare, infatti, che l’espressione anglosassone cram down si riferisce alla circostanza secondo cui il tribunale decide di omologare il concordato, nonostante un creditore appartenente a una classe dissenziente contesti la convenienza della proposta, se ritiene che il credito possa risultare soddisfatto dalla proposta in misura non inferiore rispetto alle alternative concretamente percorribili.

E invero, considerato che anche il sovraindebitamento dev’essere oggi intesa – specie dopo il suo inserimento nel corpus del Codice della Crisi – una procedura concorsuale, la già richiamata lettura costituzionalmente orientata delle norme non consente una disparità di trattamento tra il debitore “fallibile” e quello “non fallibile”.

Appare quindi evidente che, specie laddove si intenda consentire il pieno espletamento delle finalità dichiarate dalla novella, l’applicazione estensiva del cram down fiscale non può che godere del più ampio sostegno, nell’attesa di un auspicabile intervento chiarificatore del legislatore.

Altra evidente lacuna del sistema appare il mancato accenno all’applicabilità del cram down fiscale alla disciplina del concordato fallimentare, ambito nel quale di norma la maggiore convenienza della soluzione pattizia appare ancor più manifesta [6].

A questa mancanza, i cui effetti negativi sull’intento del legislatore appaiono evidenti tanto quanto la possibile disparità di trattamento con le altre procedure concorsuali alternative al fallimento, ha provato a porre rimedio la recente pronuncia del Tribunale di Teramo del 19 aprile 2021, secondo la quale anche nel concordato fallimentare, in analogia con quanto previsto in tema di concordato preventivo dall’art. 3, comma 1 ter, D.L. n. 125/2020, convertito dalla Legge n. 159/2020, il tribunale può superare il voto contrario determinante dell’amministrazione finanziaria, se ritiene la proposta favorevole, in quanto nella disciplina del concordato fallimentare manca una disposizione specifica sul trattamento del voto del fisco, le due procedure hanno la stessa finalità e sono sostanzialmente identiche le disposizioni che regolano il voto, così come è comune ad entrambe la ratio dell’intervento legislativo che anticipa il CCII.

Nonostante le prevedibili contestazioni dell’amministrazione finanziaria, il Giudice Delegato del tribunale abruzzese ha fatto buon governo dell’applicazione analogica/estensiva delle nuove norme introdotte nel campo della crisi di impresa, prevedendo la possibilità di invocare gli effetti del cram down anche nell’ambito di una procedura, come il concordato fallimentare, le cui potenzialità sovente non sono sufficientemente apprezzate.

Simone Giugni

[1] Si veda GIUFFRIDA – TURCHI, Cram down fiscale e voto negativo dell’amministrazione finanziaria: Tribunale di Forlì, in www.ilcaso.it

[2] Sul punto, ampiamente, MONTELEONE – PACCHI, Il nuovo cram down del tribunale nella transazione fiscale, in www.ilcaso.it

[3] ANDREANI – CESARE, Il voto espressamente negativo come presupposto del cram down fiscale”, in www.ilcaso.it; DE BERNARDI, Brevi note a prima lettura sull’omologa dei piani di ristrutturazione con trattamento dei crediti tributari e contributivi (o anche: “del cram down del tribunale nella transazione fiscale”), in www.ilcaso.it

[4] Una tesi intermedia, secondo la quale il cram down opererebbe nell’ambito degli ADR ma non del concordato, seppure sostenuta dalla stessa autorevole dottrina, non pare allo stato aver trovato applicazione pratica in giurisprudenza.

[5] Edita su www.ilfallimentarista.it

[6] Sul tema MARUTTO – TURCHI, Cram down fiscale e voto negativo del fisco nel concordato fallimentare, in www.ilcaso.it

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