Impossibile l’esecuzione del contratto per scelta dei contraenti? Il giudice deve pronunciare la risoluzione del contratto – Trib. Pisa, Sent., 5 maggio 2020 – Giudice, dott.ssa Spina

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Qualora un contraente richieda la risoluzione del contratto per inadempimento della controparte, ed il contraente asseritamente inadempiente richieda anch’esso una pronuncia di risoluzione – pur attribuendo l’inadempimento all’altra parte -si verifica la risoluzione del contratto, atteso che le due contrapposte manifestazioni di volontà, pur non determinando un accordo negoziale risolutorio, come nell’ipotesi del mutuo consenso, in quanto muovono da premesse contrastanti – sono tuttavia dirette all’identico scopo dello scioglimento del contratto del quale il giudice non può non prendere atto.

Il giudice che accerti l’inesistenza di singoli specifici addebiti, non potendo pronunciare la risoluzione per colpa di taluna di esse, deve dare atto dell’impossibilità dell’esecuzione del contratto per effetto della scelta di entrambi i contraenti ex art. 1453, comma 2, c.c., e pronunciare comunque la risoluzione del contratto, con gli effetti di cui all’art. 1458 c.c., essendo le due contrapposte manifestazioni di volontà dirette all’identico scopo dello scioglimento del rapporto negoziale

 

Obbligazioni e contrattiRisoluzione del contratto per inadempimento – Rif. Leg. artt. 1453, 1458 e 1460 cod. civ.

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

TRIBUNALE DI PISA

SEZIONE CIVILE

 

Il Tribunale, nella persona del Giudice, dott.ssa Santa Spina

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nella causa civile di I Grado iscritta al n. r.g. 1322/2012

con oggetto: compravendita internazionale beni mobili

promossa da:

A.R.F., in persona del suo legale rappresentante pro tempore (C.F. (…)), con il patrocinio dell’avv. FOGGIA ALBERTO (avv.albertofoggia@pec.it), elettivamente domiciliato ed elettivamente domiciliato presso il predetto difensore in via Della Scuola, n. 1, Pisa,

 

contro

  1. S.p.A. in persona del suo legale rappresentante pro tempore (C.F. (…)), con il patrocinio dell’avv. MARRA LUCA (luca.marra@pecordineavvocatipisa.it) e dell’avv. VIGLIOTTI IVANO (ivano.vigliotti@ordineavvgenova.it), dell’avv. SCAPINELLO MIRKO (mirko.scapinello@ordineavvgenova.it), dell’avv. PALANDRI PIETRO (pietro.palandri@ordineavvgenova.it), elettivamente domiciliato presso lo studio dell’avv. MARRA LUCA, in Lungarno Pacinotti, n. 26, Pisa,

 

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Con atto di citazione ritualmente notificato, A.R.F. chiamava a comparire avanti all’intestato Tribunale la A. S.p.A. (di seguito per brevità indicata anche come A.) affinché fosse dichiarata la risoluzione del contratto inter partes concluso in data 31.05.2011, per inadempimento contrattuale della società convenuta, con condanna della stessa alla restituzione di quanto già pagato nella misura indicata in citazione, con, a seguire, la richiesta di una regolamentazione delle spese di lite favorevole a sé.

L’attrice, in particolare, deduceva che il 31 maggio 2011 erano intercorse intese con la società A. che le aveva proposto la vendita di un macchinario, consistente in una pressa con accessori per la lavorazione dell’alluminio; di avere convenuto, prima ancora della conclusione del contratto, che lo smontaggio dell’impianto sarebbe stato onere della venditrice stessa; di avere, quindi, aderito, già il successivo primo giugno 2011 alla proposta corrispondendo, il 16 giugno 2011, Euro 354.000,00 a titolo di acconto; che a settembre 2011, il giorno 5, A. le aveva fatto pervenire un documento denominato “Memorandum d’intesa” in seno al quale, modificando arbitrariamente ed unilateralmente le condizioni contrattuali, poneva a carico dell’acquirente l’onere dello smontaggio; che tanto aveva, di fatto, reso impossibile la prosecuzione del rapporto con A.; di avere, quindi, contestato l’inadempimento, dichiarando di intendere, pertanto, risolto il contratto e chiedendo la restituzione dell’acconto versato, pur avendo prima tentato di percorrere la via della risoluzione stragiudiziale dell’insorgenda controversia.

Si costituiva in giudizio la società vocata in ius contestando la fondatezza della domanda attorea, formulando domanda riconvenzionale per la condanna di parte attrice al pagamento della complessiva somma di Euro 400.000,00 a titolo risarcitorio, in ragione dell’inadempimento da violazione degli obblighi contrattuali a propria volta imputati ad A., con riferimento all’ordine di acquisto per cui è causa.

La convenuta evidenziava come, invero, l’onere dello smontaggio fosse stato posto a carico dell’acquirente; che l’accordo prevedeva che la vendita fosse a condizioni “ex works” (id est, “franco fabbrica”) per cui il venditore mette a disposizione del compratore i beni presso il proprio stabilimento, gravando sul compratore l’obbligo di trasportare … i beni; che nell’ottobre 2011, A. aveva comunicato l’intenzione di non procedere all’acquisto dell’impianto, dando atto di averlo acquistato da altri e giustificando cotanta sua scelta con le difficoltà legate allo smontaggio dell’impianto e con i costi, rilevanti, che avrebbe dovuto sopportare per il trasporto in Qatar, dove l’impianto doveva essere istallato; che dalla comunicazione con la quale l’attrice aveva inopinatamente dichiarato di non procedere all’acquisto, essa convenuta traeva legittimazione a domandare la dichiarazione di risoluzione del contratto per fatto e colpa dell’attrice stessa con richiesta, pure di risarcimento danni.

 

Istaurato regolarmente il contraddittorio, il procedimento veniva istruito a mezzo della definitiva acquisizione al fascicolo di causa delle produzioni documentali versate in atti da tutte e due le parti e con l’assunzione delle prove orali ammesse.

All’esito, precisate le conclusioni, la causa veniva trattenuta in decisione con concessione dei termini di rito per lo scambio degli scritti conclusionali.

Così brevemente compendiati l’impianto assertivo del giudizio e lo svolgimento del processo, il Tribunale ritiene che debba essere previamente esaminata, ex art. 37 c.p.c., la questione relativa alla giurisdizione del giudice italiano, con riguardo alla domanda riconvenzionale svolta nei confronti di parte attrice.

Nella fattispecie in esame trova applicazione la Convenzione di Bruxelles del 22 settembre 1968, “sulla competenza giurisdizionale, il riconoscimento e l’esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale”, stante la provenienza dal Qatar (e, di conseguenza, la nazionalità) della parte A.R.F..

In particolare, l’art. 5 (Competenze speciali) costituisce deroga al generale forum litis, identificato nel luogo di domicilio del convenuto (art. 2, comma 1: “Salve le disposizioni della presente Convenzione, le persone aventi il domicilio nel territorio di uno Stato contraente sono convenute, a prescindere dalla loro nazionalità, davanti agli organi giurisdizionali di tale Stato”).

In argomento, si osserva che l’art. 5 individua dei criteri di giurisdizione concorrenti rispetto al criterio del foro generale del convenuto di cui all’art. 2 della Convenzione (cfr. Cass., Sez. Un., 21 febbraio 1995, n. 1880; Corte giustizia 26 maggio 1982, in causa n. 133/81; 15 gennaio 1987, causa 266/85).

Ciò detto, nel caso, deve indubitabilmente affermarsi la giurisdizione italiana con riferimento all’azione intrapresa da A. (parte attrice) nei confronti di A., avendo A. rispettato il generale forum litis previsto dalla Convenzione di Bruxelles del 1968.

Va, invece, approfondita la questione della giurisdizione con riguardo alla domanda riconvenzionale svolta nei confronti di parte attrice.

L’ordine invocato dalla S.p.A. A. a fondamento della propria domanda riconvenzionale prevede nei delivery terms l’inconterm Ex Work.

In forza dell’art. 3, comma 2, della L. 31 maggio 1995, n. 218 di riforma del sistema di diritto internazionale privato, deve ritenersi applicabile la Convenzione di Bruxelles del 1968, atteso che la controversia attiene alla materia contrattuale rientrante nel campo di applicazione della stessa Convenzione (cfr. Cass., Sez. un., ord. n. 503 del 2002).

Sulla scorta dell’art. 5 dell’indicata Convenzione “il convenuto domiciliato nel territorio di uno Stato contraente può essere citato in un altro Stato contraente: 1) in materia contrattuale, davanti al giudice del luogo in cui l’obbligazione dedotta in giudizio è stata o deve essere eseguita”.

Facendo applicazione del principio più volte affermato dalla giurisprudenza di legittimità in tema di vendita internazionale di beni mobili, deve applicarsi – ai fini della verifica della sussistenza della propria giurisdizione da parte del giudice adito – il criterio del luogo di esecuzione della prestazione di consegna, da identificarsi nel luogo della consegna materiale dei beni “laddove una diversa convenzione stipulata dalle parti sul luogo di consegna dei beni, per assumere prevalenza, deve essere chiara ed esplicita, tanto da risultare chiaramente dal contratto, con possibilità di far ricorso, ai fini dell’identificazione del luogo, ai termini e alle clausole generalmente riconosciute nel commercio internazionale, quali gli Incoterms, purché da essi risulti con chiarezza la determinazione contrattuale” (cfr. Cass. n. 24279 del 2014 e Cass. n. 11381 del 2016).

La Corte di Giustizia dell’Unione Europea – con le sue decisioni del 25 febbraio 2010 in causa C381/08, C., nonché del 9 giugno 2011 in causa C-87/10, E.E. SA – ha chiarito che il luogo della consegna materiale (e non soltanto giuridica) dei beni, è quello in cui l’acquirente ha conseguito o avrebbe dovuto conseguire il potere di disporre effettivamente dei beni stessi alla destinazione finale dell’operazione di vendita.

Il criterio del luogo della consegna materiale della merce oggetto del contatto è il criterio da preferire perché presenta un alto grado di prevedibilità e risponde ad un obiettivo di prossimità, in quanto garantisce l’esistenza di una stretta correlazione tra il contratto e il giudice chiamato a conoscerne: in linea di principio, i beni che costituiscono l’oggetto del contratto devono trovarsi in tale luogo dopo l’esecuzione di tale contratto.

Occorre quindi verificare se gli Incoterms (ovvero i termini elaborati dalla Camera di commercio internazionale, con sede a Parigi, “International Commercial Terms”, valgano ad identificare il luogo di consegna materiale della merce.

Nel caso che ci occupa si ha la previsione dell’inconterm “EXW” (“Ex Works”) ai fini dell’individuazione dei “delivery terms”.

Sulla scorta dell’insegnamento della Corte di Giustizia deve allora ritenersi che con siffatta clausola le parti hanno inteso disciplinare non solo le condizioni relative alla ripartizione dei rischi e dei costi connessi al trasporto dei beni, bensì anche le condizioni relative al luogo di consegna degli stessi.

L’art. 17 della Convenzione di Bruxelles 27 settembre 1968, così come modificato dalla Convenzione di Lussemburgo 9 ottobre 1978, prevede, inoltre, che la clausola attributiva di competenza esclusiva ad un giudice di uno Stato contraente debba essere conclusa per iscritto o verbalmente con conferma scritta; è, pertanto, inidonea ad attribuire siffatta competenza esclusiva una clausola sul foro competente contenuta nelle condizioni generali di contratto allegate ad una conferma d’ordine ma priva della sottoscrizione del committente, a nulla rilevando che costui abbia dato esecuzione al contratto, atteso che l’accettazione tacita, se determina la conclusione del contratto, non comporta la realizzazione del requisito formale dell’accordo scritto posto dalla citata norma convenzionale (Cass. civ., sezioni unite., 22 gennaio 2012, n. 718).

 

Nella fattispecie, anche quando si volessero avanzare dubbi sulla giurisdizione del giudice italiano con riferimento alla domanda riconvenzionale svolta da A. S.p.A. nei confronti dell’attrice, sussistono ragioni di connessione tali da giustificare la giurisdizione italiana anche con riferimento a siffatta domanda.

L’art. 6 n. 3) della Convenzione di Bruxelles prevede, infatti, che il convenuto (questa è la veste assunta dal A. con riferimento alla proposizione della domanda riconvenzionale di A.) può essere citato “qualora si tratti di una domanda riconvenzionale nascente dal contratto o dal titolo su cui si fonda la domanda principale, davanti al giudice presso il quale è stata proposta la domanda principale”.

D’altro canto, se è pur vero che l’intesa raggiunta a maggio del 2011 non è poi proseguita deve, in ogni caso, ritenersi che A. e A. S.p.A. abbiano dato vita ad un rapporto commerciale, da cui sono sorte le rispettive pretese creditorie; è allora quanto mai opportuno procedere ad una trattazione unitaria delle diverse domande.

Una volta affermata la giurisdizione italiana con riferimento a tutte le domande svolte nel presente giudizio, passando più propriamente al merito va detto che la domanda di parte attrice può essere accolta esclusivamente per quel che concerne la restituzione di quanto corrisposto.

Le parti si muovono reciproche eccezioni di inadempimento: l’attrice imputa alla convenuta l’inadempimento rispetto all’obbligo che essa si sarebbe assunta di farsi carico dello smontaggio dell’impianto, mentre la convenuta censura la condotta dell’attrice per essere, essa attrice, venuta meno agli accordi, non prendendo in consegna l’impianto così come, invece, concordato.

 

Sul punto, giova allora ripetere il principio secondo il quale il creditore che agisce in giudizio, sia per l’adempimento del contratto, sia per la risoluzione ed il risarcimento del danno, deve fornire la prova della fonte negoziale o legale del suo diritto, limitandosi ad allegare l’inadempimento della controparte, su cui incombe l’onere della dimostrazione del fatto estintivo costituito dall’adempimento.

 

Eguale criterio di riparto dell’onere della prova deve ritenersi applicabile al caso in cui il debitore convenuto per l’adempimento, la risoluzione o il risarcimento del danno si avvalga dell’eccezione di inadempimento ex art. 1460 c.c., risultando, in tal caso, invertiti i ruoli delle parti in lite, poiché il debitore eccipiente si limiterà ad allegare l’altrui inadempimento, ed il creditore agente dovrà dimostrare il proprio adempimento, (cfr. Cass., Sezioni Unite n. 13533 del 2001; Cass. sent. n. 13925 del 2002; n. 17626 del 2002; n. 2647 del 2003; n. 5135 del 2003; n. 15249 del 2003; n. 18315 del 2003; n. 2387 del 2004; n. 6395 del 2004; n. 20073 del 2004; n. 8615 del 2006; n. 13674 del 2006; n. 1743 del 2007; n. 9351 del 2007; n. 26953 del 2008; n. 15677 del 2009; n. 936 del 2010; n. 15569 del 2011; n. 826 del 2015).

Venendo qui in considerazione inadempienze reciproche, grava su ciascuna parte contro cui l’eccezione è rivolta la prova dell’esatto adempimento.

Se, allora, come nel caso, vengono in rilievo inadempimenti contrapposti, non è consentito al giudice del merito, in caso di inadempienze reciproche, di pronunciare la risoluzione, ai sensi dell’art. 1453 c.c. o di ritenere la legittimità del rifiuto di adempiere, a norma dell’art. 1460 c.c., in favore di entrambe le parti, in quanto la valutazione della colpa dell’inadempimento ha carattere unitario, dovendo lo stesso addebitarsi esclusivamente a quel contraente che, con il proprio comportamento prevalente, abbia alterato il nesso di interdipendenza che lega le obbligazioni assunte mediante il contratto e, perciò, dato causa al giustificato inadempimento dell’altra parte (Cass. civ. n. 14648/2013).

In particolare, il giudice, ove vengano mosse contestazioni di inadempimenti reciproci e gli inadempimenti reciproci siano posti a fondamento di contrapposte domande di risoluzione del contratto (ex multis, Cass. sent. n. 7711 del 2016; n. 24851 del 2015; n. 1904 del 2015), deve procedere ad una valutazione comparativa degli opposti adempimenti avuto riguardo anche allo loro proporzionalità rispetto alla funzione economico-sociale del contratto e alla loro rispettiva incidenza causale sull’equilibrio sinallagmatico, sulle posizioni delle parti e sugli interessi delle stesse (Cass. sent. n. 11430 del 2006; n. 8880 del 2000).

In conseguenza di ciò, qualora siano dedotte reciproche inadempienze, dovendo la valutazione comparativa del giudice finalizzata ad accertare la violazione più grave, avuto riguardo all’elemento cronologico ed agli apporti di causalità e proporzionalità delle prestazioni inadempiute e della loro incidenza sulla funzione del contratto, ove manchi la prova della causa effettiva e determinante della risoluzione (o dell’inadempimento reciprocamente eccepito), entrambe le domande – o, mutatis mutandis, entrambe le eccezioni – vanno rigettate (Cass. sent. n. 18320 del 2015).

Nel caso all’esame, in base all’istruttoria esperita non è dato comprendere se e quale degli inadempimenti in contestazione abbia cronologicamente preceduto l’altro, ovvero se l’uno inadempimento (ed eventualmente quale) sia stato causa – ovvero conseguenza – dell’inadempimento imputabile all’altra parte.

Le evidenze processuali restituite dall’istruttoria espletata non consentono di individuare un inadempimento che possa dirsi più grave dell’altro.

 

Ed invero, il postulato di parte attrice – secondo la quale la parte venditrice aveva assunto su di sé l’onere dello smontaggio, e ciononostante non ha adempiuto – è rimasto privo adeguato di riscontro probatorio.

Così come pure rimasta sfornita di prova è l’affermazione di responsabilità, nella vicenda de qua, dell’acquirente, la quale inopinatamente – stando a quanto allega la convenuta A. – sarebbe venuta meno ai propri obblighi.

I documenti di cui ai numeri 2 e 3 del fascicolo di parte-A. che avrebbero dovuto confermare (come, invero, se ci arrestassimo alla lettura dei due soli documenti ora indicati sembrerebbero confermare) la gestione dello smontaggio a carico della A., risultano contraddetti e superati da documenti successivi, come la comunicazione datata 14 giugno 2011, di provenienza della stessa parte attrice (ed allegata col doc. n. 4 al fascicolo di parte convenuta) che parrebbe avere scritto … dal momento che ci occuperemo noi dello smantellamento dei macchinari, la preghiamo di rivedere la sua fattura … e di omettere la voce sotto “costo aggiuntivo” … , seppure, poi, parte attrice chiarisce (o, almeno, tenta di chiarire) che l’espressione … noi ( A.R.F.) assumeremo il controllo dello smontaggio” faceva riferimento non all’ esecuzione materiale dello smontaggio (a carico di A.), bensì alla sola attività di controllo dello smontaggio medesimo.

Dubbia è pure l’interpretazione di quanto è riportato nella medesima comunicazione del 14 giugno 2011, laddove si legge di omettere la voce sotto “costo aggiuntivo”: parte attrice pone, infatti, a confronto la voce costi aggiuntivi con la medesima voce (“costi aggiuntivi”) adoperata nell’accordo del 31 maggio 2011, per concludere che nulla avrebbe a che vedere siffatta voce (quella dei “costi aggiuntivi), come utilizzata nella comunicazione del 14 giugno 2011 … con lo smontaggio, visto che nell’intesa del 31 maggio 2011 l’onere dello smontaggio era (partitatamente) menzionato in un successivo capoverso, in cui era anche previsto che sarebbe stato calcolato ad operazione eseguita al costo giornaliero di Euro 2.000,00 … … …; parte convenuta, dal canto suo, sostiene che quanto riportato nella comunicazione del 14 giugno 2011 a proposito dei “costi aggiuntivi” (o extra additional) vada, invece, letto, nel senso di ritenere che la A. avrebbe chiesto di eliminare siffatta voce (dal prezzo) visto che allo smontaggio avrebbe provveduto da sé.

Né soccorrono a fondare l’una o l’altra domanda di risoluzione le comunicazioni intercorse nel tempo tra le parti, le quali o nulla dicono dello smontaggio o se dicono, adoperano espressioni dal significato verosimilmente chiaro nelle menti di loro che scrivono, ma che, allo stato, si prestano ad interpretazioni diverse e variabili, che non valgono certo a dimostrare il reale modularsi dell’intesa sul punto.

Si guardi alla mail del 7 luglio 2011 (di cui al doc. n. 13 allegato al fascicolo dell’attore) allorquando la venditrice A. richiede la lettera di credito prima di iniziare le operazioni di smontaggio … before to start the dismantling we need to receive the LC … senza che da ciò possa ora legittimamente inferirsi se quel “prima di iniziare le operazioni di smontaggio” debba intendersi riferito all’attività di smontaggio da intraprendere da parte di essa venditrice (come vorrebbe intendere l’attrice) o, viceversa, all’attività di smontaggio da intraprendersi da parte dell’acquirente (come sostiene la convenuta).

Questioni di interpretazione sorgono poi anche con riferimento alla mail del 26 luglio 2011 inviata da A. alla società attrice nella parte in cui essa A. domanda … I would like to know when we they start the dismalting ?? , sostenendo, la A. che will start debba leggersi come we start (scritto will start per errore di stampa) e, quindi, nel senso di ritenere che A. in quella data chiedeva quando il personale T. avrebbe iniziato lo smantellamento.

La società attrice rifugge, per converso, da una lettura dei documenti fondata sul lapsus calami, intravedendo in quel … we they start la conferma della legittimità della propria ricostruzione dei fatti (quella per cui sarebbe dovuta essere A. a provvedere allo smontaggio).

In siffatto contesto documentale non può certo ritenersi provato l’inadempimento della A. piuttosto che l’inadempimento della A., attesa la contraddittorietà delle emergenze documentali e l’inconsistenza delle testimonianze rese.

Il teste (verbale udienza 1 luglio 2015) S.P., ascoltato all’udienza dell’1 luglio 2015, che aveva presentato le parti all’inizio … a domanda specifica risponde che per quanto aveva capito (ma non ha certezza al riguardo) gli spagnoli (l’attrice) dovevano fare una supervisione, non provvedere tutta la manodopera … (così, di fatto, confermando le allegazioni della società deducente secondo cui essa avrebbe presiedere alle attività di smontaggio, avendo, infatti, al fine interessato anche la T.).

S.V., dirigente A. S.p.A., sentito alla medesima udienza dell’1 luglio 2015, e delle cui dichiarazioni questo giudice dubita in ordine alla genuinità delle stesse, afferma che il prezzo di vendita era stato ridotto a 100.000,00 Euro proprio perché A. si sarebbe fatta carico dello smontaggio … ribadendo che lo smontaggio avrebbe dovuto eseguirlo T. e non A. giacché T. non era stata incaricata della sola supervisione delle attività di smontaggio, come, invece, sostenuto dall’ A. e al contrario di quanto dichiarato all’udienza del 10 ottobre 2016 dal teste di parte attrice B.J. laddove afferma che la T. non doveva occuparsi materialmente dello smontaggio ma solo della direzione tecnica e supervisione ….

Pur invocando, allora, i canoni ermeneutici di cui all’art. 1362 c.c. così come l’attrice suggerisce di fare, rifiutando, quindi, il formalismo del senso letterale delle parole utilizzate e tentando di tenere conto della reale volontà di entrambi i contraenti, l’istruttoria esperita non restituisce indicazioni certe di un comportamento colpevole di una delle parti piuttosto che dell’altra.

Da ciò consegue, allora, in ragione dei principi esposti all’inizio di questa parte motiva: il rigetto della domanda di risoluzione del contratto proposta da A. come pure, però, il rigetto della e domanda di risoluzione del contratto proposta da A. S.p.A.

Va tuttavia dato atto che emerge, dagli atti e dalla condotta processuale delle parti, la comune volontà delle parti (ciascuna per i suoi motivi e le sue valutazioni) a non mantenere in vita il contratto oggetto di causa, avendo le stesse per altro manifestato in maniera palese la impossibilità di proseguire nel rapporto contrattuale.

Deve quindi riscontrarsi che, essendo venuto meno l’incontro delle volontà sotteso al contratto di fornitura ed appalto, quest’ultimo va pertanto dichiarato cessato.

Come osservato dalla Suprema Corte infatti “può ritenersi quindi che qualora un contraente richieda la risoluzione del contratto per inadempimento della controparte, ed il contraente asseritamente inadempiente richieda anch’esso una pronuncia di risoluzione – pur attribuendo l’inadempimento all’altra parte -si verifichi la risoluzione del contratto, atteso che le due contrapposte manifestazioni di volontà, pur non determinando un accordo negoziale risolutorio, come nell’ipotesi del mutuo consenso, in quanto muovono da premesse contrastanti – sono tuttavia dirette all’identico scopo dello scioglimento del contratto del quale il giudice non può non prendere atto (in questo senso v. Cass. civ. n. 16317 del 2011 a proposito di due contrapposte dichiarazioni di recesso; Cass. civ., sezioni III, n. 26907/2014).

E ancora, in presenza di reciproche azioni di risoluzione del contratto, fondate da ciascuna parte sull’inadempimento dell’altra (ed anche il recesso ex art. 1385 c.c. configura uno strumento speciale di risoluzione del contratto), “il giudice che accerti l’inesistenza di singoli specifici addebiti, non potendo pronunciare la risoluzione per colpa di taluna di esse, deve dare atto dell’impossibilità dell’esecuzione del contratto per effetto della scelta di entrambi i contraenti ex art. 1453, comma 2, c.c., e pronunciare comunque la risoluzione del contratto, con gli effetti di cui all’art. 1458 c.c., essendo le due contrapposte manifestazioni di volontà dirette all’identico scopo dello scioglimento del rapporto negoziale” (Cass. civ. n. 6675/2018; Cass. civ. n. 10389/2005; Cass. civ. n. 15167/2000).

Tale decisione – di ritenere il contratto risolto – non viola il disposto di cui all’art. 112 c.p.c., posto che trattasi di questione rilevabile d’ufficio dal giudice.

Ed infatti “in tema di scioglimento del contratto, la risoluzione consensuale dello stesso non costituisce materia di eccezione in senso proprio, ma rappresenta un fatto oggettivamente estintivo dei diritti nascenti dal negozio bilaterale, che, se ed in quanto rilevante ai fini del decidere, può essere accertato di ufficio dal giudice (Cass. n. 24802/2006; sulla rilevabilità d’ufficio del fatto oggettivo della risoluzione per mutuo consenso, si vedano, altresì, le successive Cass. n. 10201/2012; Cass. n. 6125/2014).

Dallo scioglimento del rapporto contrattuale derivano per le parti gli obblighi restitutori in ordine alle prestazioni ricevute.

Conseguentemente, la società convenuta va condannata a restituire all’attrice la complessiva somma di Euro 354.000,00.

Sul predetto importo decorreranno interessi, nella misura legale, dalla data della domanda e sino al dì dell’avvenuto saldo (secondo le norme sull’indebito oggettivo).

Non sussistendo, invece, alcun inadempimento di parte attrice-convenuta in via riconvenzionale, o meglio, non risultando accertato alcun adempimento di A., non vi sarà luogo ad alcun risarcimento del danno in favore di A. S.p.A.

Le spese, atteso il parziale accoglimento della domanda di parte attrice, vanno compensate (per la sussistenza della soccombenza reciproca anche in caso di parziale accoglimento della domanda, Cass. civ. n. 3438/2016).

 

P.Q.M.

Il Tribunale di Pisa, definitivamente pronunciando, ogni diversa istanza, eccezione e difesa disattesa e respinta, in parziale accoglimento della domanda attorea, così provvede:

1) RISOLVE il contratto stipulato tra A.R.F., in persona del suo legale rappresentante pro tempore, e A. S.p.A. in persona del suo legale rappresentante pro tempore;

2) CONDANNA parte convenuta A. S.p.A. in persona del suo legale rappresentante pro tempore, alla restituzione, in favore di parte attrice, A.R.F., in persona del suo legale rappresentante pro tempore, della somma di Euro 354.000,00, oltre interessi nella misura legale dalla data della domanda e sino al dì dell’avvenuto saldo.

3) COMPENSA integralmente tra le parti le spese processuali.

Così deciso in Pisa, il 5 maggio 2020.

Depositata in Cancelleria il 5 maggio 2020.

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