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La legittimazione del curatore all’esercizio dell’azione risarcitoria per abusiva concessione di credito dopo Cass. n. 1860/2021

  1. Premessa.

 

Con l’ordinanza n. 18610 del 30 giugno 2021, che ha avuto grande risonanza sulla stampa specializzata, la Prima Sezione Civile della Suprema Corte di Cassazione (Pres. Genovese; Rel. Nazzicone) è tornata prepotentemente sul tema dell’abusiva concessione di credito da parte della banca all’imprenditore successivamente dichiarato fallito.

L’indubbia consapevolezza delle notevoli implicazioni del provvedimento sia sulle azioni proponibili in sede fallimentare che, indirettamente, sui limiti alla possibilità di finanziamento alle imprese in crisi, ha portato il Supremo Collegio alla stesura di una motivazione ricca di principi sia di diritto sostanziale che di diritto processuale.

È ovviamente impossibile, dati i limiti della presente trattazione, approfondire per intero la portata della pronuncia in commento. Ci limiteremo quindi ad esaminare su quello che è stato uno degli argomenti di maggiore discussione degli ultimi anni, ossia la legittimazione attiva del curatore fallimentare all’esercizio dell’azione risarcitoria per abusiva concessione di credito nei confronti del finanziatore asseritamente responsabile [1].

Proprio il riepilogo delle pronunce che si sono succedute sull’argomento consente, a parere di chi scrive, di apprezzare appieno il chiarimento reso dalla Prima Sezione e di comprendere che – data anche la complessità della materia – non possono essere esclusi ulteriori interventi correttivi.

 

  1. L’abusiva concessione di credito.

 

Prima di scendere nel merito del ricorso, la Corte ha ritenuto opportuno chiarire, in modo approfondito, in cosa consistano il c.d. “abusivo ricorso al credito” e la “concessione abusiva di credito” [2] e in quali termini siano idonei ad arrecare danno al patrimonio della società amministrata o finanziata.

Gli ermellini ricordano come la condotta di abusivo ricorso al credito sia espressamente sanzionata dall’art 218 L.F., che prevede la punibilità di amministratori, direttori generali, liquidatori e imprenditori che ricorrano o continuino a ricorrere al credito dissimulando il dissesto o lo stato di insolvenza.

Nonostante le incertezze sulla sua entrata in vigore, il Codice della Crisi di Impresa e dell’Insolvenza ha confermato, all’art. 325, la citata fattispecie di illecito.

In maniera esattamente speculare, la “concessione abusiva del credito” mira a sanzionare il finanziatore che conceda, o continui a concedere, incautamente credito in favore dell’imprenditore che versi in stato di insolvenza o comunque di crisi conclamata. Si tratta, in particolare, di una condotta da tempo tipizzata sia in dottrina [3] sia in giurisprudenza [4] e che va a colpire il mancato rispetto da parte della banca degli specifici criteri che è chiamata a seguire nell’erogazione del credito.

L’ordinanza in commento ricorda che il soggetto finanziatore è tenuto all’obbligo di rispettare i principi di “sana e corretta gestione”, verificando in particolare il merito creditizio del cliente. Del principio di sana e corretta gestione si trova traccia nel Testo Unico Bancario, nel Testo Unico della Finanza e nella legislazione europea. Dal complesso delle suddette norme discende l’obbligo per il finanziatore di valutare con la dovuta prudenza la concessione del credito ai soggetti finanziati, in special modo – osserva l’ordinanza – laddove si trovino in difficoltà economica.

Il rischio di credito [5] dev’essere quindi gestito dal finanziatore secondo processi interni periodicamente aggiornati che consentano di valutare attentamente il merito creditizio del richiedente sia sotto il profilo patrimoniale che sotto quello reddituale. La concessione di credito a chi si palesi come non in grado di adempiere le proprie obbligazioni può quindi essere qualificata, a parere della Corte, come “abusiva” ed integrare l’illecito del finanziatore per il danno cagionato al patrimonio del soggetto finanziato.

Particolare interesse riveste l’iter motivazionale attraverso il quale viene declinata la responsabilità dell’istituto finanziatore.

Le prescrizioni di vigilanza sulla corretta gestione del credito assumono infatti rilievo al fine dell’individuazione della diligenza professionale ex art. 1176 comma 2 c.c. alla quale la banca è tenuta. La giurisprudenza di legittimità ha infatti più volte osservato [6] come, pur non essendo ravvisabile nel caso di specie un generale dovere di attivarsi al fine di impedire eventi di danno, siano individuabili nel sistema bancario comportamenti, a volte tipizzati, la cui violazione è idonea a configurare culpa in omittendo.

Secondo il Supremo Collegio, pertanto, “dall’ordinamento settoriale del credito derivano, dunque, obblighi comportamentali, la cui violazione integra la nozione di “altro atto o fatto idoneo … in conformità all’ordinamento giuridico” a costituire fonte di obbligazioni fra soggetti determinati”.

Si tratta a tutti gli effetti di una ricostruzione innovativa del richiamato art. 1173 c.c., che apre ampi spazi per il riconoscimento di obbligazioni avulse dal contratto o dall’illecito anche al fine di consentire l’attuazione di principi e regole non direttamente riconducibili a rapporti negoziali [7].

Sul finanziatore gravano quindi obblighi di comportamento più specifici di quello del neminem laedere. La concessione di credito da parte degli istituti bancari non costituisce un “affare privato” e per questo motivo l’ordinamento ha predisposto un insieme di principi, controlli e regole volte a prevenire ed evitare possibili conseguenze negative non solo per la banca ma anche per lo stesso soggetto finanziato e per tutti coloro che con lui siano entrati in contatto.

 

  1. Il danno e i presupposti per la responsabilità del finanziatore.

 

Per ciò che concerne, più in particolare, i profili civilistici risarcitori, gli ermellini ricordano che le condotte di abusivo ricorso al credito e di abusiva concessione di credito, incidendo sulla diminuzione della consistenza patrimoniale dell’impresa e sull’aggravamento delle perdite derivanti dall’illegittima prosecuzione dell’attività, sono idonee ad arrecare danno sia alla società finanziata che agli altri creditori.

A tal fine si ricorda che l’art. 2486 c.c., recentemente novellato, disciplina dettagliatamente i profili del risarcimento del danno derivante dalla prosecuzione dell’attività dopo il verificarsi di una causa di scioglimento della società, introducendo in via presuntiva il criterio di quantificazione pari alle perdite incrementali di periodo e “riesumando” in limine il criterio del deficit fallimentare [8].

Il danno così determinato è imputabile in primo luogo agli organi sociali, siano essi amministratori, direttori generali, liquidatori o sindaci, ai sensi degli artt. 2393 e 2394 c.c., azioni esercitate dal curatore nell’ambito della procedura fallimentare ex artt. 2394 bis c.c. e 146 L.F.

Vi sono però margini per ravvisare una responsabilità anche dell’istituto finanziatore nel caso in cui la condotta dolosa o colposa di questo, diretta a mantenere artificiosamente in vita un imprenditore, cagioni una diminuzione patrimoniale e l’aggravamento dello stato di dissesto [9].

L’ordinanza in commento mostra di tenere ben presente l’attuale favor normativo per il finanziamento a fini di risanamento dell’impresa [10], ambito nel la c.d. “finanza – ponte” può costituire indubbiamente uno strumento utile ai fini della risoluzione della crisi attraverso istituti che ne scongiurino il fallimento [11].

Occorre quindi indagare quali siano i confini tra il finanziamento “lecito” e quello “abusivo”. A tal fine, la Corte rileva come sia stato già osservato che l’attività di concessione del credito si inserisca nell’ambito della libera iniziativa di impresa costituzionalmente garantita ex art. 41 Cost., sino al momento in cui tali condotte giungano ad alterare, con colpa o dolo, “la correttezza delle relazioni di mercato e a costituire fattori di disinvolta attitudine c.d. predatoria rispetto ad altro soggetto economico in dissesto[12].

L’indagine sulla meritevolezza del finanziamento, rimessa ovviamente al giudice del merito, si presenta di particolare complessità dovrà tenere conto di tutte le circostanze del caso concreto, ai fini di valutare se il finanziatore abbia agito con la necessaria diligenza e adottato ogni dovuta cautela al fine di prevenire eventuali abusi.

In quest’ottica la banca è tenuta ad accertare che il credito da erogare sia finalizzato ad un’operazione di risanamento aziendale dell’impresa che sia in grado, secondo una valutazione prognostica ex ante, di superare la crisi o almeno di permanere sul mercato. Detta valutazione deve essere legata all’esame di tutti i documenti e delle notizie acquisite, dalle quali emerga la volontà e la possibilità del soggetto finanziato di utilizzare il credito ricevuto in funzione di un concreto progetto di risanamento aziendale.

Nell’esame di questi dati il finanziatore dovrà procedere con la diligenza richiesta per l’operatore professionale qualificato, con conseguente necessità di dotarsi di metodi, procedure e competenze necessari alla valutazione del merito creditizio.

 

  1. Le azioni esercitabili dal curatore nel fallimento.

 

L’espresso richiamo, da parte dell’ordinanza in commento, alla possibile responsabilità degli amministratori di società per l’abusivo ricorso al credito ci offre l’occasione per ricordare quali sono le azioni risarcitorie esperibili dal curatore nella procedura fallimentare e quali sono i presupposti per il loro esperimento. L’approfondimento appare opportuno proprio al fine di stabilire il perimetro di legittimazione attiva del curatore fallimentare.

Si ricorda allora che, ai sensi dell’art. 146 L.F., “sono esercitate dal curatore previa autorizzazione del giudice delegato, sentito il comitato dei creditori: a) le azioni di responsabilità contro gli amministratori, i componenti degli organi di controllo, i direttori generali e i liquidatori; b) l’azione di responsabilità contro i soci della società a responsabilità limitata, nei casi previsti dall’articolo 2476, comma settimo, del codice civile”.

La legge fallimentare prevede quindi la legittimazione esclusiva in favore dell’organo della procedura all’esercizio delle azioni, con la conseguenza che, nell’inerzia del curatore, né la società né i creditori sono ammessi a sostituirsi ad esso. Per effetto del fenomeno della successione nel processo, deve ritenersi ammissibile per il curatore subentrare nelle azioni di responsabilità già pendenti [13] alla data dell’apertura del fallimento.

Dubbi sussistono invece sul ruolo del comitato dei creditori nell’autorizzazione all’azione. L’opinione preferibile è orientata nel ritenere il parere come meramente consultivo, non incidendo sulla validità del decreto di autorizzazione reso dal giudice delegato in assenza di audizione del comitato. A riprova di quanto appena detto, il provvedimento del tribunale fallimentare ex art. 41 comma 4 L.F. contiene anche un’implicita espressione di parere favorevole di quest’ultimo organo in sua sostituzione [14].

L’art. 2393 c.c. disciplina, come è noto, l’azione sociale di responsabilità, esercitabile anche ai sensi dell’art. 2393 bis c.c., nella società per azioni, da tanti soci che rappresentino almeno un quinto del capitale sociale.

Nelle società a responsabilità limitata, invece, l’azione sociale può essere promossa da ciascun socio ai sensi dell’art. 2476 comma 3 c.c. Per giurisprudenza assolutamente prevalente, anche se la disposizione citata non contiene un espresso riferimento a questa possibilità, la società deve ritenersi comunque legittimata all’esercizio dell’azione [15].

È poi pacifico che l’azione sociale di responsabilità ha natura contrattuale, poiché trova fonte nell’inadempimento dei doveri imposti agli amministratori dalla legge o dall’atto costitutivo [16]. Per l’effetto, sulla società attrice grava l’onere di dimostrare la sussistenza delle violazioni contestate, i pregiudizi sofferti in concreto ed il nesso eziologico tra inadempimento e danno.

L’azione dei creditori sociali prevista dall’art. 2394 c.c. è invece esperibile alla ricorrenza di due presupposti, ossia l’inosservanza, da parte degli amministratori citati in giudizio, degli “obblighi inerenti alla conservazione dell’integrità del patrimonio sociale” e l’insufficienza del patrimonio al soddisfacimento delle pretese dei creditori.

Quanto al primo requisito, il venir meno all’obbligo di conservare l’integrità del patrimonio della società e il conseguente avverarsi di perdite è riconducibile alla disciplina di cui agli artt. 2343, 2423 e ss., 2446 e 2447 c.c., ma anche a quella degli artt. 2357 e ss. e 2486 c.c. L’incapienza patrimoniale potrà poi emergere anche con modalità diverse e che spieghi comunque i propri effetti ogniqualvolta i creditori siano in grado di averne conoscenza ricorrendo all’ordinaria diligenza [17].

La natura dell’azione è stata per lungo tempo controversa.

Un primo orientamento[18], risalente nel tempo, sosteneva che l’azione di risarcimento danni dei creditori trovando il suo fondamento nell’inadempimento di specifici obblighi posti dalla legge a carico degli amministratori (conservazione dell’integrità del patrimonio sociale), doveva, per tale motivo, ritenersi estranea all’ambito della responsabilità da illecito extracontrattuale. L’argomentazione aveva trovato appoggio anche in quella giurisprudenza di legittimità che, seppure in sede di obiter, aveva aderito all’impostazione contrattuale [19].

L’orientamento oggi assolutamente prevalente, invece, riconduce questa azione nell’alveo della responsabilità extracontrattuale [20]. Conseguentemente l’attore, per la regola generale che opera anche con riguardo alle obbligazioni di fare ed alle obbligazioni di mezzi come quella degli amministratori, sarà chiamato a fornire specifica prova dell’imputabilità dell’evento alla condotta del debitore [21].

Con specifico riferimento all’azione del curatore si ricorda come sia da tempo pacifico che “l’azione di responsabilità esercitata dal curatore ex art. 146, comma 2, l.fall. cumula in sé le diverse azioni previste dagli artt. 2393 e 2394 c.c. a favore, rispettivamente, della società e dei creditori sociali, in relazione alle quali assume contenuto inscindibile e connotazione autonoma – quale strumento di reintegrazione del patrimonio sociale unitariamente considerato a garanzia sia degli stessi soci che dei creditori sociali[22]. Pertanto “il curatore fallimentare, quando agisce postulando indistintamente la responsabilità degli amministratori, fa valere sia l’azione che spetterebbe alla società, in quanto gestore del patrimonio dell’imprenditore fallito, sia le azioni che spetterebbero ai singoli creditori, considerate però quali “azioni di massa” in ragione dell’art. 146 legge fall.[23].

È infine pacifico che le citate azioni, benché esperibili cumulativamente dal curatore fallimentare, hanno e mantengono titoli distinti e autonomi [24].

A fronte delle azioni esercitabili dalla curatela, non desta invece sorprese che l’azione di responsabilità di cui all’art. 2395 c.c., spettante al singolo socio od il terzo che assumano di essere stati direttamente danneggiati da atti colposi o dolosi degli amministratori, sia sottratta, anche in caso di fallimento, alla legittimazione del curatore ex art. 146 L.F. [25]

Per tali motivi potrà essere autonomamente proposta, ricorrendone i presupposti, anche nel corso del fallimento sociale ovvero dopo la chiusura dello stesso.

La norma è infine chiara nell’individuare il presupposto dell’azione, di natura dichiaratamente extracontrattuale [26], nel danneggiamento di singoli individui (soci e/o terzi) derivante da atti dolosi o colposi commessi da amministratori e sindaci [27].

 

  1. La legittimazione attiva del curatore nei confronti degli istituti di credito. L’evoluzione giurisprudenziale.

 

Una volta stabilito il perimetro di legittimazione del curatore fallimentare nell’ambito delle azioni risarcitorie, è possibile dare atto dell’ampio dibattito che si è creato in giurisprudenza sulla legittimazione attiva del curatore ad agire contro gli istituti di credito per il possibile danno arrecato alla società e al ceto creditorio per l’abusiva concessione di credito.

La discussione prende sicuramente avvio da alcuni contributi dottrinali resi negli anni ’80 [28] e tesi a ricondurre l’illecito nell’ambito della responsabilità extracontrattuale disciplinata dagli artt. 2043 e 2395 c.c. Gli interpreti ponevano infatti l’accento sull’inesistenza di rapporti contrattuali fra la banca che conceda credito all’imprenditore in stato di dissesto e gli altri creditori del medesimo imprenditore i quali, tratti in inganno dalla sopravvivenza dell’impresa, si fossero trovati a subire i danni derivanti dalla mancata riscossione dei propri crediti [29].

Dopo i primi arresti giurisprudenziali di merito [30], la discussione è approdata in fretta alle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, che si sono pronunciate in materia con le note sentenze gemelle del 28 marzo 2006 nn. 7029, 7030 e 7031. La Suprema Corte, chiamata a risolvere un aspro contenzioso pendente dinanzi al Tribunale di Foggia, ha preso in esame in particolare l’allegazione, a fondamento dell’accusa di illecita concessione di credito bancario, di una condotta idonea a “mantenere artificiosamente in vita” un’impresa decotta, “suscitando nel mercato la falsa opinione che si trattasse di impresa economicamente valida” ed inducendo “i terzi a contrattare o a continuare a contrattare con la società”.

L’azione risarcitoria proposta andava quindi inquadrata negli strumenti di reintegrazione del patrimonio del singolo creditore, analogamente alle azioni che traggono origine dagli atti degli amministratori della società fallita che danneggiano il terzo ai sensi dell’art. 2395 c.c.

Per i principi visti in precedenza, che confermano la carenza di legittimazione attiva del curatore ad esperire l’azione risarcitoria prevista dall’art. 2395 c.c., la Corte negava quindi che la curatela potesse ritenersi titolare di un potere di rappresentanza indistinto e generalizzato di tutti i creditori essendo, piuttosto, la sua funzione diretta a ricostruire il patrimonio del debitore attraverso l’esercizio delle opportune azioni recuperatorie come le c.d. “azioni di massa” delle quali parleremo anche più avanti [31].

Le argomentazioni elaborate dalle Sezioni Unite hanno immediatamente suscitato critiche da parte dei commentatori [32], i quali hanno osservato come il curatore fosse indubbiamente legittimato ad esercitare azioni – quali la revocatoria – che, ordinariamente destinate a produrre benefici solo nei confronti di creditori determinati, diventano di massa quando esperite in ambito fallimentare [33].

La questione è rimasta poi quiescente per alcuni anni e ciò nonostante la sentenza n. 13413 resa dalla Prima Sezione della Corte di Cassazione in data 1° giugno 2010 avesse osservato che la condanna riportata dall’amministratore in sede penale era idonea ad integrare gli estremi della responsabilità del medesimo nei confronti della società ai sensi e per gli effetti dell’art. 2393 c.c. (azione pacificamente esperibile dal curatore ex art. 146 L.F.) e di concorso nella medesima della banca convenuta in relazione alla condotta del proprio funzionario.

Da questa osservazione discendeva perciò la legittimazione del curatore ad agire, ai sensi dei citati artt. 2393 c.c. e 146 L.F., sia nei confronti dell’amministratore che dell’istituto di credito per il danno cagionato, in solido, alla società fallita dall’abusivo ricorso al credito. Nell’esperimento della suddetta azione peraltro, come affermato dalla Corte in obiter dictum, il curatore non era tenuto a convenire in giudizio l’amministratore infedele, non sussistendo nei confronti dei coobbligati in solido un’ipotesi di litisconsorzio necessario [34].

La pronuncia in esame si segnala pertanto per aver affermato, per la prima volta, la configurabilità di una fattispecie di illecito, riconducibile all’amministratore in concorso con la banca, con conseguente legittimazione attiva del curatore fallimentare all’esperimento della relativa azione risarcitoria [35].

Il dibattito ha ripreso poi vigore nell’anno 2017 con due note sentenze della Corte, la n. 9983 del 20 aprile 2017 (Prima Sezione, Rel. Terrusi) e la n. 11798 dell’11 aprile 2017 (Terza Sezione, Rel. Scoditti).

Con la pronuncia n. 11798/ 2017, in particolare, la Corte, all’esito del giudizio avviato dal commissario straordinario di una società per azioni che aveva convenuto alcuni istituti di credito chiedendone la condanna al risarcimento dei danni conseguenti all’abusiva concessione di credito, osservava che l’azione era stata sin dall’inizio ricondotta nell’alveo dell’illecito aquiliano di cui all’art. 2395 c.c.

Per tale motivo si confermava la carenza di legittimazione attiva del curatore ad esercitare la suddetta azione sostituendosi al creditore, essendo l’organo della procedura legittimato ad esperire solo azioni volte a ricostruire il patrimonio del debitore in funzione dell’interesse del ceto creditorio.

Più articolato il ragionamento della Prima Sezione nel motivare la sentenza n. 9983/2017, con la quale è stata cassata con rinvio la pronuncia della Corte di Appello di Milano che aveva affermato la mancanza di legittimazione del curatore nell’esercitare la proposta azione di responsabilità escludendo, sulla base della più volte richiamata interpretazione delle Sezioni Unite, la configurazione dell’abuso di credito come azione di massa.

La Cassazione osserva però che il giudice di appello non aveva tenuto conto che, nell’ipotesi in questione, era stata avanzata dal curatore, ai sensi dell’art. 146 L.F., anche la domanda risarcitoria per i danni cagionati alla società dalle concorrenti condotte degli amministratori, richiedenti il credito, e dalle banche concedenti.

Richiamate quindi le previsioni dell’art. 218 L.F. per il quale costituisce reato il fatto degli amministratori i quali, anche al di fuori dei casi di bancarotta, ricorrono o continuano a ricorrere al credito (…) dissimulando lo stato di insolvenza, gli ermellini osservano che la medesima condotta integra altresì un illecito civile.

Pertanto, pur dovendo essere confermato l’orientamento delle Sezioni Unite che porta a negare la legittimazione del curatore all’esercizio dell’azione da illecito aquiliano ex art. 2395 c.c. per il risarcimento dei danni causati ai creditori dall’abusiva concessione di credito diretta a mantenere artificiosamente in vita un’impresa decotta, il curatore doveva ritenersi invece legittimato ad agire, ai sensi dell’art. 146 L.F. in correlazione con l’art. 2393 c.c., nei confronti della banca, ove questa possa essere ritenuta terzo responsabile solidale del danno cagionato “alla società fallita” per effetto dell’abusivo credito da parte dell’amministratore della predetta società.

 

  1. L’ordinanza n. 18610 del 30 giugno 2021

 

La recente pronuncia della Suprema Corte conferma, come abbiamo già visto, la legittimazione del curatore all’esercizio dell’azione risarcitoria nei confronti della banca per abusiva concessione di credito, ma giunge a detta conclusione attraverso un’interpretazione ancor più evoluta delle regole che governano le azioni di responsabilità in sede concorsuale. La motivazione, attraverso la quale gli ermellini giungono ad affermare che con l’azione abusiva di credito il curatore fa valere due connessi profili di danno, ossia il ristoro del danno subito dalla società e nello stesso tempo dalla massa dei creditori pregiudicati dalla diminuita garanzia patrimoniale [36], si lascia apprezzare per chiarezza e linearità e merita quindi nella presente trattazione un adeguato spazio.

L’ordinanza in commento ribadisce in primo luogo, richiamando espressamente Cass. 9983/2017, che il curatore è legittimato ad agire per il risarcimento del danno subito dalla società allo stesso modo dell’imprenditore danneggiato.

Nel contempo la Corte evidenzia però come l’intervenuto fallimento della società provochi l’apertura del concorso dei creditori ai sensi degli artt. 51 e 52 L.F. e, per l’effetto, come gli stessi perdano ogni legittimazione ad agire individualmente in via esecutiva o cautelare sui beni del fallito.

Da ciò deriva la legittimazione della curatela ad esercitare le c.d. “azioni di massa”, volte alla ricostituzione della garanzia patrimoniale a beneficio dell’intero ceto creditorio. Rientrano in questa categoria le azioni revocatorie ex artt. 2901 c.c. e 66 L.F. nonché, ed è ciò che maggiormente interessa, le azioni di responsabilità di cui agli artt. 2393 e 2394 c.c. (la cui legittimazione attiva è esclusivamente riservata al curatore ex artt. 2394 bis c.c. e 146 L.F.).

Il Supremo Collegio ricorda quindi, come abbiamo già detto in precedenza, che il curatore non può esercitare l’azione di risarcimento spettante al singolo creditore ex art. 2394 c.c. ma è invece legittimato ad agire a vantaggio di tutti i creditori per recuperare ciò che è andato perduto a causa dell’indebito finanziamento. Il danno arrecato al patrimonio dell’impresa, stante la diminuita garanzia patrimoniale, crea quindi un danno riflesso a tutti i creditori. In tal modo il curatore, esercitando nei confronti del finanziatore l’azione risarcitoria per abusiva concessione di credito, agisce anche a tutela dell’intero ceto creditorio, che riceverà indubbi vantaggi dagli ulteriori riparti possibili.

L’azione risarcitoria in esame deve quindi ricomprendersi tra le azioni “di massa” all’esercizio delle quali il curatore è, come visto, pienamente legittimato. Si tratta quindi, come evidenzia espressamente la Corte, di una fattispecie diversa di danno (…) da quella per cui le Sezioni unite del 2006 [37] esclusero la legittimazione attiva del curatore fallimentare.

 

  1. Gli altri temi sollevati dall’ordinanza in commento.

 

Come avevamo preannunciato, per evidenti ragioni di sinteticità abbiamo limitato il presente contributo all’esame della motivazione con la quale la Corte di Cassazione è giunta ad affermare la legittimazione attiva del curatore fallimentare all’esercizio dell’azione risarcitoria per abusiva concessione di credito.

In realtà, l’ordinanza in commento fornisce numerosi altri spunti di riflessione, ognuno dei quali degno di autonomo approfondimento.

Basti pensare, ancora dal punto di vista processuale, al fatto che la prima sezione riconosce espressamente che la responsabilità della banca abusiva finanziatrice può porsi in concorso con quella degli organi sociali ma che, pur essendo allegata una responsabilità concorrente [38], “le obbligazioni restano solidali ed i responsabili meri litisconsorti facoltativi”.

Nel merito, è poi degno di assoluto interesse l’inquadramento della responsabilità verso il fallito per abusiva concessione di credito “nell’ambito della responsabilità di tipo contrattuale “da contatto sociale qualificato”, inteso come fatto idoneo a produrre obbligazioni ex art. 1173 c.c., da cui derivano, a carico delle parti, reciproci obblighi di buona fede, di protezione e di informazione, giusta gli artt. 1175 e 1375 c.c. [39]. Diversamente, la responsabilità della banca nei confronti del ceto creditorio non potrà che essere ricondotta, conformemente con le caratteristiche dell’azione di responsabilità dei creditori ex art. 2394 c.c., nell’alveo della responsabilità aquiliana ex art. 2043 c.c.

Infine, proprio il fatto che il curatore faccia valere in giudizio un interesse terzo rispetto a quello della società, ossia quello della massa dei creditori, rende inopponibile alla curatela l’eccezione ex art. 1227 c.c. in forza della quale sarebbe possibile per la banca, laddove gli amministratori della società avessero reiterato ingiustificate richieste di credito per proseguire infruttuosamente e in modo pregiudizievole l’attività sociale, invocare il concorso del creditore nella causazione del danno e chiedere una riduzione proporzionale del risarcimento [40].

 

  1. Conclusioni.

 

L’ordinanza in commento ha quindi, indubbiamente, il merito di aver ricostruito in modo organico e completo le caratteristiche dell’azione risarcitoria spiegata dal curatore, in sede fallimentare, nei confronti dell’istituto finanziatore per abusiva concessione di credito.

La lucidità del ragionamento del Supremo Collegio induce però, per converso, ad ipotizzare possibili ricadute negative proprio sul riconosciuto favor del legislatore per le soluzioni che prevedano il superamento della crisi aziendale attraverso forme di continuità diretta, ossia proprio su quei casi in cui l’accesso a nuova finanza risulta in effetti indispensabile.

Per evitare possibili fonti di responsabilità, infatti, la banca sarà costretta ad approfondire ancora di più la reale “meritevolezza” del richiedente, ossia l’idoneità del credito concesso a supportare un piano che sia realmente (se pure astrattamente) idoneo a consentire il risanamento aziendale.

Ciò comporterà di riflesso l’onere per gli istituti di rafforzare, se non proprio di dotarsi, di metodi, procedure e competenze idonei a verificare ex ante il merito creditizio. Il rischio, facilmente intuibile, è che i finanziatori preferiscano evitare rischi riducendo ulteriormente i già ristretti spazi per la concessione di nuova finanza e finiscano, singolarmente, per vanificare la possibilità di presentare piani di risanamento che prevedano la continuità aziendale.

Finiremmo allora, è intuibile, per percorrere una strada opposta a quella che il legislatore ha indicato in tutti gli ultimi interventi sulla disciplina della crisi di impresa.

 

Simone Giugni – Avvocato in Pisa

 

[1] Per approfondimenti ci sia consentito rinviare a GIUGNI S., La responsabilità della banca per abusiva concessione del credito alla luce dell’ultima evoluzione giurisprudenziale, in Crisi e Risanamento, 26/2018, 63 e segg.

[2] SERRA, Concessione abusiva di credito: il curatore è legittimato ad agire contro la banca, in www.altalex.it, 19 giugno 2021

[3] INZITARI B., L’abusiva concessione di credito: pregiudizio per i creditori e per il patrimonio del destinatario del credito, in Le Società, 2007; PISCITELLO P., Concessione abusiva del credito e patrimonio dell’imprenditore, in Riv. Dir. Civ., 2010, 5. 664; ESPOSITO C., L’azione risarcitoria “di massa” per “concessione abusiva di credito”, in Il Fallimento, 2005, 8, 861

[4] App. Firenze 11 novembre 2019, in Il Fallimento, 2020, 6

[5] Si esprime così INZITARI B., L’azione del curatore per abusiva concessione di credito, in www.dirittodellacrisi.it

[6] Cass. 8 gennaio 1997 n. 72, in; Cass. 13 gennaio 1993 n. 343;

[7] Ancora INZITARI B., L’azione del curatore per abusiva concessione di credito, cit.

[8] Per un approfondimento, anche in chiave critica, sia consentito rinviare a GIUGNI S., Le azioni di responsabilità nelle procedure concorsuali alla luce del codice della crisi, in Società e Contratti, Bilancio e Revisione, n. 11/19

[9] INZITARI B., L’azione del curatore per abusiva concessione di credito, cit.

[10] Favor che si manifesta espressamente sia nella disciplina dei finanziamenti prededucibili nelle procedure concorsuali alternative al fallimento (artt. 182 quater e quinquies L.F.), nella generale esenzione dalla revocatoria ex art. 67 comma 3 Lett. e) L.F. e nell’esenzione dei reati di bancarotta di cui agli articoli 216 comma 3 e 217 L.F.

[11] INZITARI B., L’azione del curatore per abusiva concessione di credito, cit.

[12] Cass. 05.08.2020 n. 16706

[13] Così NARDO, Legittimazione ad agire del curatore e tutela dei diritti nel fallimento, in www.judicium.it, 2018, 8

[14] Cass. 28.11.1984 n. 6187

[15] Trib. Milano 15.02.2019 osserva come, anche se l’art. 2476 c.c. non contempla espressamente l’azione ad iniziativa della società, “negare il diritto di agire alla società comporterebbe un’ingiustificata compressione del diritto di difesa (art. 24 Cost.) di quest’ultima posto che, in ogni caso, gli amministratori sono innanzitutto responsabili “verso le società dei danni derivanti dall’inosservanza dei doveri ad essi imposti dalla legge e dall’atto costitutivo”. Il singolo socio è certamente portatore di un autonomo diritto di agire, ma ciò non toglie che si tratti pur sempre – secondo l’insegnamento della Suprema Corte – di una responsabilità verso la società “rifluendo l’eventuale condanna dell’amministratore unicamente nel patrimonio sociale e potendo solo la società (non il socio) rinunciare all’azione e transigerla.” (Cfr. ex multis Cassazione civile, Sez. I, 4 luglio 2018, n. 17493)”.

[16] Trib. Roma 13.01.2017, in www.dirittobancario.it

[17] Cass. 08.04.2009 n. 8516. In dottrina QUATRARO – PICONE, La responsabilità di amministratori, sindaci, direttori generali e liquidatori di società, Milano, 1998, I, 611 e ss.; CONFORTI, La responsabilità civile degli amministratori di società, II, Milano, 2003, 595 e ss.

[18] CAMPOBASSO, Diritto commerciale, 2, Diritto delle società, Torino, 1999, 371

[19] Cass. 22.03.2010 n. 6870

[20] Cass. SS.UU. 10.01.2017 n. 1641; Cass. 20.09.2012 n. 15955; Cass. 12.06.2007 n. 13765; Cass. 22.10.1998 n. 10488

[21] Ci sia consentito rinviare a GIUGNI S., Le azioni di responsabilità nelle procedure concorsuali alla luce del codice della crisi, Società e Contratti, Bilancio e Revisione, 11/2019, 30

[22] Cass. 29.09.2016 n. 19340

[23] Cass. SS.UU. 23.01.2017 n. 1641, cit.

[24] Cass. 04.12.2015 n. 24715; Cass. 12.06.2007 n. 13765

[25] Cass. 01.04.2014 n. 8458; Cass. 22.03.2010 n. 6870

[26] Cass. 07.09.1993 n. 9385; Cass. 03.04.2007 n. 8359

[27] Cass. 23.06.2010 n. 15220

[28] BORGIOLI, Responsabilità della banca per concessione “abusiva” di credito?, in Maccarone – Nigro (a cura di), Funzione bancaria, rischio e responsabilità della banca, Milano, 1981, 197; LO CUOCO, Responsabilità della banca per concessione abusiva di credito, in Responsabilità contrattuale ed extracontrattuale delle banche, Milano, 1896, 2011

[29] TARZIA, La Cassazione torna sul tema dell’azione risarcitoria per “concessione abusiva di credito” che , abbia ritardato la dichiarazione di fallimento, in Fallimento, 2017, 914.

[30] Trib. Milano 9 maggio 2001; App. Milano 11 maggio 2004

[31] ESPOSITO, La legittimazione del curatore fallimentare all’esercizio dell’azione danni per abusiva concessione di credito: una breve analisi dei percorsi possibili, in Fallimento, 2006, 1128

[32] BALESTRA, Crisi dell’impresa e abusiva concessione di credito, in Giur. Comm., 2013, I, 124 e segg.

[33] Cass. 1° giugno 2010 n. 13413; in giurisprudenza di merito Trib. Messina 2 settembre 2008

[34] PINTO, La responsabilità da concessione abusiva di credito fra unità e pluralità, in Giur. Comm., 2011, II, 1174

[35] BALESTRA, Concessione abusiva del credito e legittimazione del curatore: sulla non facile delimitazione perimetrale, in Fallimento, 2017, 1158

[36] Così INZITARI B., L’azione del curatore per abusiva concessione di credito, cit.

[37] Le quali, si ricorda, avevano ricondotto l’azione proposta nell’alveo dell’azione individuale ex art. 2395 c.c.

[38] Ai sensi dell’art. 2055 c.c., per avere con le rispettive condotte cagionato il medesimo danno

[39] Con richiamo, a questo proposito, alle precedenti Cass. 12.07.2016 n. 14188, Cass. 25.07.2018 n. 19775 e Cass. 28.04.2020 n. 8236

[40] Ancora INZITARI B., L’azione del curatore per abusiva concessione di credito, cit.