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Il ruolo del tribunale nella riforma della crisi di impresa

Come noto, da alcuni giorni è stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale il Decreto Legge 24 agosto 2021 n. 118, avente ad oggetto Misure urgenti in materia di crisi di impresa e di risanamento aziendale, nonché ulteriori misure urgenti in materia di giustizia.

Il provvedimento, che dà ufficialmente alla luce il lavoro della Commissione Pagni, è stato immediato oggetto di contributi interpretativi, comprensibilmente concentrati sull’esame di quello che è l’istituto maggiormente innovativo della riforma, la composizione negoziata per la risoluzione della crisi di impresa. Il procedimento, affidato ad un esperto indipendente nominato, in base a precisi criteri di competenza e indipendenza, dal Segretario della Camera di Commercio competente per l’ambito territoriale nel quale si trova la sede dell’impresa, ha espresse caratteristiche di stragiudizialità, riservatezza e volontarietà [1].

La gestione negoziata della crisi, alla quale può accedere l’impresa che si trovi in una condizione di squilibrio patrimoniale o economico finanziario che ne rendono probabile la crisi e l’insolvenza, sembra presupporre la necessità di una concreta prospettiva di risanamento [2] e appare destinata a sostituire, forse definitivamente, la complessa e criticata procedura di composizione assistita dinanzi all’OCRI prevista dal Codice della Crisi di Impresa e di Insolvenza.

Nonostante il pilastro della riforma sia individuato in un istituto dal carattere dichiaratamente “privatistico”, a parere di chi scrive dal complesso di norme licenziate emerge un ruolo ancor più rafforzato, ed evidentemente indispensabile, dell’autorità giudiziaria.

Il tribunale viene interpellato innanzitutto al momento in cui l’imprenditore che accede alla procedura di composizione negoziata della crisi richiede, ai sensi dell’art. 6 del D.L., l’applicazione delle misure protettive (analoghe a quelle oggi previste, in via automatica, dall’art. 168 L.F.). L’istanza contenente la richiesta delle misure è pubblicata nel registro delle imprese unitamente all’accettazione dell’esperto ed ha effetto dal giorno della sua pubblicazione.

Contestualmente, però, l’imprenditore deve chiedere al tribunale la conferma o la modifica delle misure nonché, ed è questa una delle innovazioni di maggior rilievo della riforma, l’adozione dei provvedimenti cautelari necessari per condurre a termine le trattative. Il procedimento si svolge nelle forme del procedimento cautelare uniforme ex artt. 669 bis e segg. c.p.c. e, entro il giorno successivo alla comunicazione alle parti, il tribunale deve comunicare i suoi provvedimenti al registro delle imprese.

L’omesso o ritardato deposito del ricorso all’autorità giudiziaria è causa di inefficacia delle misure protettive. Inoltre, nel caso in cui entro trenta giorni dal deposito dell’istanza contenente la richiesta delle misure l’imprenditore non abbia chiesto la pubblicazione nel registro delle imprese del numero di ruolo generale del procedimento instaurato, l’iscrizione dell’istanza stessa è cancellata dal registro.

Come può vedersi il ruolo del tribunale, volto ad apprezzare l’opportunità per l’imprenditore di usufruire delle misure protettive nonché la concessione di eventuali ulteriori provvedimenti cautelari, risulta oggi assai valorizzato, specie se si paragonano i rinnovati margini di discrezionalità rispetto al regime di automatic stay previsto per il concordato preventivo [3].

L’art. 4 comma 4 del D.L. impone poi alle parti di comportarsi, nel corso delle trattative, secondo buona fede e correttezza. Gli istituti di credito, storicamente poco propensi a sedersi al tavolo delle trattative stragiudiziali, sono tenuti ai sensi del comma 5 della medesima disposizione a partecipare alle trattative in modo attivo ed informato.

Appare quindi evidente che, nell’ipotesi in cui l’impresa non riesca a completare con successo il percorso della gestione negoziata, si apriranno spazi per la presentazione all’autorità giudiziaria di domande risarcitorie nei confronti di chi abbia tenuto comportamenti ostruzionistici o più semplicemente non abbia partecipato alle trattative con spirito costruttivo [4].

Ai sensi dell’art. 10 D.L., su richiesta dell’imprenditore il tribunale, verificata la funzionalità degli atti rispetto alla continuità aziendale e alla migliore soddisfazione dei creditori, può autorizzare l’imprenditore, o una o più società appartenenti ad un gruppo di imprese, a contrarre finanziamenti prededucibili con soggetti terzi oppure con i soci. Il tribunale può inoltre autorizzare l’imprenditore a trasferire in ogni forma l’azienda o uno dei suoi rami senza gli effetti di cui all’art. 2560 comma 2 c.c.

L’intervento dell’autorità giudiziaria è previsto anche nel caso in cui l’esperto nominato non riesca a favorire un’intesa tra le parti nel rideterminare il contenuto dei contratti ad esecuzione continuata, periodica o differita laddove la prestazione sia divenuta eccessivamente onerosa per effetto della pandemia. In mancanza di accordo, infatti, su istanza dell’imprenditore e acquisito il parere dell’esperto, il tribunale può rideterminare equamente le condizioni del contratto per il periodo strettamente necessario.

Ma, quantomeno ad avviso dello scrivente, la novità di maggiore interesse tra quelle introdotte dalla riforma appare la figura neo istituita del concordato semplificato per la liquidazione del patrimonio, previsto dall’art. 18 D.L. per l’eventualità in cui il procedimento di gestione negoziata della crisi non abbia successo. Con questa “nuova” procedura, la commissione mostra infatti non solo di rivalutare [5] ma addirittura di favorire una soluzione liquidatoria alternativa al fallimento.

Si tratta di una procedura per il quale non è previsto né un filtro all’ammissione, né la nomina del Commissario Giudiziale [6] né tantomeno la sottoposizione al voto della proposta. Il tribunale, dopo aver acquisito la relazione finale dell’esperto e un suo parere sui presumibili risultati della liquidazione e le garanzie, con decreto: 1) valuta la ritualità della proposta; 2) nomina un ausiliario ai sensi dell’art. 68 c.p.c.; 3) ordina che la proposta, unitamente al parere dell’ausiliario e alla relazione finale dell’esperto [7], venga trasmessa ai creditori; 4) fissa la data dell’udienza di omologazione.

All’esito del giudizio di omologazione il tribunale, assunti [8] i mezzi istruttori indicati dalle parti o disposti d’ufficio e respinte eventuali opposizioni, se la proposta rispetta l’ordine delle cause legittime di prelazione, se il piano è fattibile e se la proposta non arreca pregiudizio ai creditori rispetto all’alternativa della liquidazione fallimentare assicurando comunque un’utilità a ciascun creditore, omologa il concordato.

Si tratta evidentemente di uno strumento che rende notevolmente più facile la presentazione di proposte concordatarie con cessio bonorum e/o con previsione di continuità indiretta, come dimostra peraltro la possibilità, prevista dall’art. 19 comma 2 D.L., di trasferire l’azienda o singoli beni senza il necessario ricorso alle offerte concorrenti di cui all’art. 183 bis L.F.

Di fronte a questo rinnovato favor per la soluzione concordataria, stupisce però ancora una volta la mancata riforma della disciplina dei reati fallimentari, tenuto soprattutto conto dell’effettiva necessità di separare le ipotesi di illecito legate al fallimento da quelle relative al concordato preventivo in modo da favorire l’impegno dell’imprenditore nella ricerca di soluzioni migliorative per il ceto creditorio [9]

In conclusione è possibile affermare che, a fronte di notevoli ed interessanti novità la cui concreta efficacia dovrà essere testata, il legislatore sembra confermare l’importanza di conservare in capo al tribunale un ruolo di garanzia e di direzione nel procedimento in parallelo all’attività dell’esperto nominato e, soprattutto, nel caso di mancato successo delle trattative. Questo ruolo, appare evidente, costituisce un elemento indispensabile in un sistema volto alla predisposizione di ipotesi di risanamento concretamente perseguibili.

 

[1] GUIDOTTI R., La crisi d’impresa nell’era Draghi: la composizione negoziata e il concordato semplificato, in Ristrutturazioni Aziendali, 8 settembre 2021

[2] AMBROSINI S., La nuova composizione negoziata della crisi, in Ristrutturazioni Aziendali, 23 agosto 2021

[3] È pur vero che la concessione al tribunale di margini di discrezionalità è già attualmente prevista dall’art. 182 bis commi 5 e 6 L.F. per le misure richieste nella fase del c.d. “pre-accordo di ristrutturazione”, ma è un dato di fatto che la suddetta facoltà, così come più in generale l’intero istituto dell’ADR, per ragioni che non è possibile approfondire in questa sede è stata statisticamente poco utilizzata dall’imprenditore in crisi.

[4] GUIDOTTI R., op. cit.

[5] Il concordato liquidatorio era stato infatti oggetto di limitazioni sempre più stringenti, prima con l’introduzione all’art. 160 comma 3 L.F. di una percentuale minima (20%) da assicurare ai creditori falcidiati e poi, con l’art. 84 CCII, con la previsione del necessario apporto di finanza esterna destinata ad incrementare di almeno il 10% la soddisfazione prevista nel caso di liquidazione giudiziale del patrimonio

[6] Con conseguente esenzione da tutti i controlli previsti dall’art. 172 L.F.

[7] Non sembra essere previsto invece l’invio del parere

[8] Indipendentemente dall’esistenza di opposizioni

[9] In questi termini ancora GUIDOTTI R, op. cit.